27 Luglio 2024
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Cassazione: il diritto del beneficiario di amministrazione di sostegno a partecipare alle decisioni che lo riguardano è incomprimibile

08-06-2024 14:32 - News
Due gabbiani si stagliano su un cielo color carta da zucchero e sopra alcuni alberi di cui si intravvedono le sommità.
Il beneficiario può interagire col Giudice Tutelare anche con modalità di comunicazione informali, purché idonee a portare a conoscenza dello stesso Giudice il proprio punto di vista; ed il Giudice Tutelare è tenuto a valutare e a tenere in considerazione le esigenze espresse dal beneficiario, anche con disabilità psichiatrica, perché il diritto di quest’ultimo di essere informato e di esprimere la propria opinione sulle decisioni che lo riguardano – seppure da sottoporre a vaglio – costituisce uno spazio di libertà e di autodeterminazione incomprimibile. Lo ha stabilito la Corte Suprema di Cassazione con un’Ordinanza pubblicata lo scorso marzo.

Se i pregiudizi riguardo alla disabilità sono tutt’oggi largamente diffusi, lo stigma nei confronti delle persone con disabilità psichica è ancora più radicato, e non risparmia neanche i familiari che assumono il ruolo di amministratore di sostegno. Sotto questo profilo riveste un grande interesse l’Ordinanza n. 7414 del 20 marzo 2024 con la quale la Prima Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, presieduta da Francesco Antonio Genovese, ha rigettato la richiesta di due ricorrenti, madre e fratello di D.S., una donna con disabilità psichica, beneficiaria di amministrazione di sostegno, nonché suoi precedenti amministratori, i quali hanno impugnato il provvedimento con il quale il Giudice Tutelare, sollecitato dalla stessa beneficiaria tramite comunicazioni via e-mail, ha sostituito l’amministratore di sostegno nominando un soggetto esterno alla famiglia (un avvocato). Più che per il caso in sé, l’Ordinanza merita di essere letta con attenzione per le argomentazioni espresse dalla Corte Suprema nel motivare il rigetto.

Il caso: già la Corte d’Appello aveva respinto il precedente reclamo rilevando come il Giudice Tutelare avesse «sostituito l’amministratore facendo riferimento alla volontà espressa dalla beneficiaria che, sebbene affetta da patologia psichiatrica, ha lamentato disagio e difficoltà nel rapportarsi con il fratello e pertanto la sostituzione deve ritenersi adottata con l’intento di tutelare l’amministrata» (grassetti nostri in questa e nelle successive citazioni dell’Ordinanza). A questo elemento va ad aggiungersi che anche l’ufficio del Giudice Tutelare aveva riscontrato delle difficoltà ad interagire con il precedente amministratore (il fratello di D.S., subentrato nel ruolo alla madre, che a sua volta era subentrata al padre deceduto). I ricorrenti si sono rivolti alla Corte di Cassazione eccependo che non vi era stata nessuna formale richiesta di revoca dell’amministrazione da parte della beneficiaria, ma «soltanto una serie di mail indirizzate al Giudice Tutelare, con le quali [la donna] lamentava un difficile rapporto con il fratello. Detto comportamento tuttavia altro non è che la conseguenza della malattia, “disturbo bipolare (fase maniacale con caratteristiche psicotiche)”, mentre di contro il fratello pur onerato da esigenze lavorative aveva sempre cercato di essere presente; egli non si era presentato alle comparizioni fissate dal Giudice Tutelare per ragioni lavorative avendo dato la disponibilità in giorni diversi da quelli delle disposte comparizioni». Per queste ragioni la madre e il fratello di D.S. ritenevano ingiusta la decisione di affidare ad un estraneo la gestione dei beni dell’amministrata.

Le argomentazioni: nel rigettare il ricorso la Corte di Cassazione ha ricordato che «l’amministrazione di sostegno è uno strumento volto a proteggere la persona in tutto o in parte priva di autonomia, in ragione di disabilità o menomazione di qualunque tipo e gravità, senza mortificarla e senza limitarne la capacità di agire se non – e nella misura in cui – è strettamente indispensabile; la legge chiama il Giudice all’impegnativo compito di adeguare la misura alla situazione concreta della persona e di variarla nel tempo, così da assicurare all’amministrato la massima tutela possibile con il minor sacrificio della sua capacità di autodeterminazione».

«Introducendo l’amministrazione di sostegno – è scritto in un altro passaggio dell’Ordinanza –, il legislatore ha dotato l’ordinamento di una misura che può essere modellata dal Giudice Tutelare in relazione allo stato personale e alle circostanze di vita di ciascun beneficiario e in vista del concreto e massimo sviluppo delle sue effettive abilità. Così l’ordinamento mostra una maggiore sensibilità alla condizione delle persone fragili o con disabilità, è più attento ai loro bisogni e allo stesso tempo più rispettoso della loro autonomia e della loro dignità di quanto non fosse in passato, quando il codice civile si limitava a stabilire una netta distinzione tra soggetti capaci e soggetti incapaci, ricollegando all’una o all’altra qualificazione rigide conseguenze predeterminate. Nell’assolvere a questi compiti di protezione della persona, non è la gravità della malattia o menomazione che deve orientare il Giudice, ma piuttosto la idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa».

Sulla flessibilità dello strumento la Corte di Cassazione esprime ulteriori specificazioni, osservando come essa sia «il tratto distintivo di questa misura di protezione, che non ha una disciplina legale predeterminata in ogni suo aspetto, posto che la normativa lascia ampi spazi di regolamentazione e di adattamento della misura al caso concreto (il c.d. vestito su misura). Il Giudice verifica, da un lato, le competenze della persona e cioè le sue capacità e abilità, e, dall’altro, le sue carenze, muovendo dal presupposto che la persona potrebbe essere in grado di autodeterminarsi e di esercitare con sufficiente avvedutezza taluni diritti, ovvero operare in taluni àmbiti della vita sociale ed economica, mentre potrebbe non essere abile e competente in altri settori. In esito a tale verifica il Giudice, oltre a decidere l’an della misura, deve anche definire e perimetrare i compiti e i poteri dell’amministratore, in termini direttamente proporzionati all’incidenza degli accertati deficit sulla capacità del beneficiario di provvedere ai suoi interessi, di modo che la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona».

Questi invece sono i passaggi nei quali la Corte di Cassazione chiarisce la considerazione da accordare alla volontà del beneficiario. Citando la disposizione contenuta nell’articolo 410 del codice civile, che impone all’amministratore di sostegno di informare il beneficiario circa gli atti da compiere e, in caso di dissenso, anche il Giudice Tutelare, la Corte Suprema assume la stessa disposizione come dimostrazione che «in ogni caso, la volontà del beneficiario e le sue opinioni debbano essere tenute in considerazione, pur se ne venga limitata la capacità, e pur se il Giudice Tutelare dovrà vagliare se detta volontà non si ponga in contrasto con gli interessi primari del beneficiario stesso. Limitare la capacità nella minor misura possibile significa pertanto non soltanto selezionare specificamente gli atti che il beneficiario non può compiere o non può compiere da solo, ma altresì preservare, anche con riferimento a questi atti, il diritto del beneficiario di esprimere la propria opinione e di partecipare, nella misura in cui lo consenta la sua condizione, alla formazione delle decisioni che lo riguardano (Cass. 12/02/2024 n.3751)». Un ulteriore importantissimo passaggio entra nel merito del caso in cui la persona abbia una disabilità psichica: «L’opinione del beneficiario non può essere considerata minusvalente solo perché espressa da un soggetto fragile, disabile, affetto da malattia psichica, poiché in tal modo si riproporrebbe uno schema rigido fondato su regole predeterminate, spesso desunte da dogmi indimostrati e talora discriminatori; invece di valutare, come richiede un approccio orientato al rispetto dei diritti umani, se nel caso concreto è possibile ed in quale misura rispettare la volontà dell’interessato senza pregiudizio per i suoi interessi. Il diritto del beneficiario di essere informato e di esprimere la propria opinione – seppure da sottoporre a vaglio – costituisce pertanto uno spazio di libertà e di autodeterminazione incomprimibile, anche qualora ne venga fortemente limitata la capacità e ciò peraltro in conformità alle indicazioni date dalla nostra Corte Costituzionale secondo la quale in nessun caso i poteri dell’amministratore possono coincidere “integralmente” con quelli del tutore o del curatore (Corte Cost. 440/2005), nonché in conformità con le indicazioni date dalla Convenzione di New York del 13/12/2006 sulle persone con disabilità, ove si riconosce l’importanza della loro autonomia ed indipendenza individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte, nonché l’importanza della accessibilità alla informazione e comunicazione, per consentire alle persone con disabilità di godere pienamente di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali».

Per queste ragioni il Giudice Tutelare deve poter «interloquire rapidamente e senza eccessive formalità tanto con l’amministratore quanto con il beneficiario, e anche con i soggetti che operano nella rete di protezione costruita intorno a quest’ultimo (i familiari, i servizi sociali, gli operatori sanitari)». Il Giudice Tutelare viene definito dalla Corte di Cassazione come un «Giudice di prossimità», al quale si possono rivolgere istanze anche verbalmente e non necessariamente con la intermediazione della difesa tecnica. Si tratta di un Giudice a cui il beneficiario deve potersi rivolgere facilmente, come peraltro rivela la scelta legislativa di determinare la competenza territoriale non già in relazione al luogo di residenza dell’amministratore di sostegno ma a quello dello stesso beneficiario. Il beneficiario deve essere messo nella condizione di interloquire con Giudice Tutelare, «il quale deve tener conto, nella maniera più efficace e diretta, dei suoi bisogni e richieste, anche successivamente alla nomina dell’amministratore».

Le argomentazioni esposte hanno portato la Corte di Cassazione a trarre alcune conclusioni.

«La prima: il beneficiario può manifestare le proprie esigenze al Giudice Tutelare anche con modalità di comunicazione informali, come ad esempio con posta elettronica non certificata, e che non è necessario che dette comunicazioni si esprimano nei termini di una specifica e formale istanza, purché idonee a portare a conoscenza del Giudice Tutelare il punto di vista dell’interessato.

La seconda: il Giudice Tutelare è tenuto a valutare e a tenere in considerazione le esigenze espresse dal beneficiario, ancorché affetto da malattia psichiatrica o disabilità, muovendo dal principio che la libera autodeterminazione del soggetto deve essere rispettata nei limiti del possibile, nei limiti cioè in cui essa non arrechi pregiudizio alla persona stessa; in questa valutazione deve guardarsi non già a quella che è la migliore soluzione per la amministrazione dei beni ma quella che è la migliore soluzione per il benessere della persona».

A tali princìpi si è attenuta anche la Corte d’Appello nel suo pronunciamento sul caso in questione, giacché ha tenuto in considerazione la volontà espressa dalla beneficiaria ed ha riscontrato carenze nel circuito della comunicazione tra beneficiaria e amministratore, nonché tra Giudice Tutelare e amministratore di sostegno. Correttamente la Corte d’Appello ha ritenuto che la circostanza che la manifestazione di volontà fosse espressa da una persona con una patologia psichica non fosse «di per sé è idonea ad escludere la rilevanza della volontà, dovendosi piuttosto valutare la specifica situazione». Tali motivazioni sono assunte per rigettare anche il ricorso in Cassazione.

Questi dunque i contenuti dell’Ordinanza, che sono utili anche a mettere in luce un ulteriore aspetto che caratterizza il confronto sull’applicazione della Legge 6/2004, istitutiva dell’amministrazione di sostegno. Infatti capita frequentemente che si discuta se sia meglio scegliere come amministratori di sostegno familiari o soggetti esterni alla famiglia. Il caso di specie e le argomentazioni della Corte di Cassazione mostrano che l’unica argomentazione dirimente sia (o dovrebbe essere) il rispetto delle indicazioni espresse dalla persona a cui la misura è rivolta. Tuttavia constatiamo che non sempre questo requisito viene rispettato, dunque apprezziamo che la Corte di Cassazione lo abbia ribadito. (Simona Lancioni)



Si ringrazia Elena Vivaldi per la segnalazione.

Nota: segnaliamo che il 18 aprile 2024 l’Associazione Diritti alla Follia ha depositato presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione una Proposta di Legge di iniziativa popolare per l’abolizione dell’interdizione e dell’inabilitazione e per la riforma dell’amministrazione di sostegno (il cui testo è disponibile a questo link). Al fine di raccogliere le 50mila firme necessarie affinché la Proposta in questione venga discussa in Parlamento, la medesima Associazione ha lanciato anche la Campagna “Fragile a Chi?!”, ed ha predisposto un’apposita sezione con tutte le informazioni sull’iniziativa (essa è raggiungibile al seguente link).
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