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Un romanzo, non banale, sulle aspettative sociali riguardo al dolore

02-06-2023 15:25 - News
La copertina de “Il sorriso del mostro”, un romanzo del giornalista Rocco Pezzano, è illustrata con la scritta nera e parzialmente riflessa del titolo dell’opera, sotto la quale è disegnato un arco rosso che simula un sorriso.
Se davvero fosse possibile cancellare il dolore, quanto saremmo disposti ad accettarlo? Sembra questa la domanda sottesa intorno a cui ruota “Il sorriso del mostro”, il romanzo del giornalista Rocco Pezzano, appena pubblicato dalla casa editrice ExCogita, che ha come principale protagonista una madre che ha perso suo figlio.

È difficile immaginare dolori esistenziali più grandi di quello sperimentato da una madre che perde un figlio o una figlia. Non per sminuire i dolori dei padri, o quelli conseguenti ad altre perdite e difficoltà, ma il coinvolgimento emotivo/affettivo di chi ha sperimentato l’intimità di essere stata due in uno non si presta a facili eguaglianze. Forse è proprio per questo che il giornalista Rocco Pezzano, nel disporsi ad indagare le ferite dell’anima, ha scelto di farlo attraverso il lutto materno, ossia dal dolore considerato più grande ed anche innaturale, se è vero che la natura è disposta in modo che siano i figli a sopravvivere ai genitori, e non il contrario. Forse deve aver pensato che se riesci a sconfiggere quello, anche gli altri dolori potrebbero diventare affrontabili.

Ma se fosse davvero possibile cancellare il dolore, quanto saremmo disposti ad accettarlo? Sembra questa la domanda sottesa intorno a cui ruota “Il sorriso del mostro” – il romanzo di Pezzano, appena pubblicato dalla casa editrice ExCogita, nella collana Voluminaria Rosso –, che ha come principale protagonista Delia. Da quando, tre anni prima, ha visto Massimo, suo figlio maggiore, di tredici anni, morire davanti ai suoi occhi, Delia non è più la stessa, la sua vita scorre tra apatia, silenzi, congelamenti e crisi di pianto improvviso. Un circolo vizioso dove «vivere si è trasformato in un peso insostenibile», mentre «morire genera una paura inaffrontabile» (capitolo 10, pag. 34 della versione digitale). Un inferno che non le dà tregua, fino a quando due improbabili ricercatori le propongono un rimedio: una pillola rossa capace di annientare il dolore. Delia la assume ed il dolore sparisce. Non ha scordato Massimo, e neppure ha dimenticato la sua morte, lo ama come prima, come le madri in genere amano i propri figli, ma finalmente riprende a vivere la sua vita senza avvertire quel peso sul cuore. Archiviato il file di Massimo nel sistema mentale ed affettivo, messa al sicuro la sua memoria, il romanzo potrebbe finire qui, sennonché qualcosa inizia ad incepparsi, non in Delia, ma in chi le sta intorno. La Delia che non mostra più alcun segno di sofferenza – ma, anzi, ride, fa battute ironiche, va a ballare -, destabilizza, ed in qualche modo infrange un codice non scritto, quello delle aspettative sociali riguardo al dolore, ed in particolare riguardo al lutto materno. Le persone che le vivono accanto osservano spiazzate i suoi cambiamenti. Persino sua sorella Carla, mentre guarda la nuova Delia spensierata e allegra provarsi dei foulard, si ritrova a dover gestire il senso di colpa per non riuscire a provare gioia: «Devo essere contenta di come è Delia adesso. Dovrei esserne contenta» (capitolo 27, pag. 93 della versione digitale). La narrazione procede con una serie di vicende che, spaziando tra il tragico e il comico, delineano una società nella quale il sorriso di una madre che ha smesso soffrire per la morte del proprio figlio viene percepito come spaventoso e mostruoso.

L’opera di Pezzano non aggiunge molto rispetto all’elaborazione del lutto materno, di fatto questa elaborazione non c’è. La protagonista non supera il dolore attraversandolo, il dolore viene superato in virtù di un artificio letterario (la pillola rossa capace di cancellarlo). Ciò che rende interessante il romanzo è piuttosto l’impietosa descrizione di una società che è disponibile e comprensiva con la persona che soffre solo fino a quando questa si adegua al codice non scritto delle aspettative sociali, ma è pronta a manifestare tutto il biasimo, l’astio e l’ostilità di cui è capace nel momento in cui la stessa persona assume condotte ritenute in contrasto col ruolo sociale assegnatole.

Pertanto il vero tema dell’opera di Pezzano non è il lutto, come si potrebbe essere indotti a pensare, ma il dolore ed il nostro modo di codificarlo. Gli spunti offerti dal romanzo in relazione alla perdita, possono essere applicati, per estensione, a qualunque altro frangente nel quale manifestarsi addolorati è socialmente atteso.

Ad esempio, quanta credibilità saremmo disponibili ad accordare ad una donna vittima di violenza se questa decidesse di non indossare in pubblico una “maschera affranta”? E ancora, quanto siamo disponibili a prendere sul serio le violazioni dei diritti umani delle persone con disabilità che si sono emancipate dal ruolo tragico che ancora oggi una parte significativa della nostra società prescrive per loro?

Ma al di là delle aspettative sociali, rispettate o infrante, forse le domande che dovremmo porci sono: sarebbe davvero desiderabile una realtà che non contempla il dolore? E se il dolore – quest’ospite indesiderato – avesse una sua funzione? Potremmo davvero apprezzare la luce delle opere del Caravaggio senza il sapiente contrasto dell’ombra? (Simona Lancioni)
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