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Disabilità intellettiva: il docufilm sui due gemelli Joshua e Benjamin

25-08-2023 14:53 - News
Timidi come noi: quante declinazioni può avere l’amore? E quante il senso della vita? Due gemelli che soffrono di disabilità intellettiva, protagonisti di un intenso docufilm diretto da Valentina Bertani, ci offrono punti di vista interessanti. E una lezione fondamentale: ogni diversità ha il diritto di essere narrata
Disabilità intellettiva, i gemelli Israel
I gemelli Joshua e Benjamin Israel sono stati seguiti da Valentina Bertani dal giorno della maturità fino ai cinque anni successivi.

Per Valentina Bertani «utilizzare la propria voce è una grande responsabilità». Dopo una gioventù passata tra musica e videoclip, con La timidezza delle chiome la regista, classe 1984, firma il suo primo lungometraggio. Il film conquista tutti arrivando fino alla Bbc, che lo ha messo in programmazione per il prossimo autunno.Ero appena adolescente quando Sophia Loren gridò quel famoso Roberto! prima di consegnare l’Oscar a Benigni per La vita è bella. Quella gioia così spontanea è riuscita a penetrare lo schermo e rimanere impressa nella memoria collettiva emozionando tutti. Potrebbe sembrar un’esagerazione, ma a distanza di più di vent’anni ho esultato allo stesso modo quando Roberto Vecchioni ha premiato La timidezza delle chiome come miglior film ai Diversity Media Awards, perché quella non è stata solo una vittoria meritata, ma un traguardo per la mia comunità. Inquell’occasione ho avuto il piacere di conoscere Valentina Bertani, la regista del film che narra la storia di Benjamin e Joshua Israel, due gemelli omozigoti italiani di origine ebraica e con disabilità intellettiva alla ricerca del loro posto nel mondo.
Valentina Bertani, regista e sceneggiatrice, è nata a Mantova nel 1984. La timidezza delle chiome è il suo primo lungometraggio ed è stato premiato come miglior film ai Diversity Media Awards.

Da dove nasce il desiderio di realizzare La timidezza delle chiome?«Il “filmetto”, come lo ha definito ironicamente Benjamin, mi è caduto addosso, anzi, mi ha letteralmente attraversato la strada, e il desiderio di realizzarlo nasce proprio dall’incontro con i gemelli. Ho conosciuto Benjamin e Joshua a Milano nel 2016. Un giorno stavo parcheggiando lo scooter in via Gentilino e li ho visti. Mi sono sembrati subito bellissimi, con un’estetica unica, mi ricordavano i protagonisti dei film che ho sempre amato, quelli di Larry Clark, Harmony Korine, e così ho deciso istintivamente di fermarli.

Lì per lì ho pensato di chiedere se avessero voglia di lavorare a un contenuto audiovisivo, ma quando ho provato a chiamarli mi hanno appena degnata di uno sguardo e sono andati via. Quella breve interazione, insieme alla formazione scolastica in ambito psicopedagogico, mi hanno fatto capire subito che avevo incrociato due ragazzi con una disabilità intellettiva, così non ho insistito.

Nei giorni seguenti, però, non riuscivo a smettere di pensarci, così la prima cosa che ho fatto è stata chiedere in giro se qualcuno li conoscesse. Per fortuna sono molto noti a Milano, soprattutto nella zona dei Navigli, perché sono i figli di Sergio e Monica Israel, gli ex proprietari del locale storico Le Scimmie. Sono quindi riuscita a entrare in contatto con Monica e abbiamo organizzato un incontro a casa della famiglia Israel. Quando io e mia moglie siamo andati a casa dei gemelli, non siamo riuscite subito a parlare con loro, perché erano ancora parzialmente diffidenti.

Dopo un po’, però, è accaduta una cosa inaspettata: si sono avvicinati e ci hanno invitato a essere spettatrici di una loro partita di calcio, una partita a cui avevano completamente stravolto le regole. Da quel momento hanno cominciato a entrare sempre più in confidenza con noi ed è lì che ho capito quanto potesse essere interessante raccontare il mondo narrativo che hanno dentro».

Quest’opera è frutto di un lavoro di cinque anni. Qual è stata la sfida più ardua che avete dovuto affrontare?«Sicuramente quella di trovare un produttore interessato. In parte c’era la paura di investire su un’opera prima, ma soprattutto temevano che Benjamin e Joshua non performassero a sufficienza, che non fossero all’altezza delle aspettative, tutti pregiudizi molto diffusi nei riguardi di attori e attrici con disabilità. Per fortuna siamo riusciti a spuntarla e a trovare Marco Lasagni e Pietro Puccioni (Diaviva, Italia), e Lee Shira e David Mandil (MoviePlus, Israele), che hanno creduto fino in fondo nel progetto».

Dalla candidatura ai David di Donatello al premio speciale Valentina Pedicini ai Nastri d’Argento fino alla vittoria ai Diversity Media Awards, La timidezza delle chiome ha raggiunto diversi traguardi. E adesso?«Il film è arrivato in Italia grazie a I Wonder Pictures, un grande distributore, e questo è già di per sé un traguardo importante. È poi uscito sulle piattaforme e in dvd, e da poco abbiamo avuto anche una bellissima notizia: dopo una lunga trattativa il sales agent, Intramovies, ci ha informato che il film è stato acquistato dalla Bbc e – in autunno – sarà visibile nel Regno Unito e in Irlanda del Nord all’interno di Storyville, che raccoglie il meglio della produzione documentaristica internazionale. Il film non subirà alcun tipo di modifica nel montaggio, ci tengo a specificarlo, ma per renderlo più fruibile fuori dall’Italia il titolo sarà: Benjamin, Joshua and The Crown Shyness. Questo per evidenziare meglio la natura ibrida della Timidezza delle chiome, e mettere subito in chiaro che si tratta comunque di un film character driven, ovvero dove conquistano più i protagonisti che la trama in sé».
Una scena del film La timidezza delle chiome con gli attori, i gemelli Benjamine Joshua Israel.

Sappiamo bene quanto all’interno del panorama audiovisivo la disabilità sia qualcosa di inconsueto. Quello che noto spesso è la difficoltà a restituire uno sguardo neutro, non condizionato dai bias di chi gira o scrive. Questo film invece è un racconto autentico che nasce dall’interno, cosa molto rara. Come ci siete riusciti?«Credo dipenda dal fatto che sia io che alcune persone del team facciamo parte della comunità Lgbtqia+. Come persone queer non ci siamo mai sentite adeguatamente rappresentate negli audiovisivi, per cui comprendiamo bene cosa significhi non trovare storie che parlino di noi in maniera autentica. Quando abbiamo iniziato a lavorare con Benji e Josh, è stato inevitabile voler loro bene, e quando vuoi bene a qualcuno non puoi pensare che possa crescere senza vedersi rappresentato.

Intorno alla disabilità si tende ad accettare in misura maggiore il cinema del reale, quando ci sono persone disabili perfettamente in grado di recitare. Questo è uno dei motivi per cui nel film Benjamin e Joshua sono sempre stati parte attiva, non solo nell’interpretazione, ma anche nella scelta di cosa dire e cosa non dire. Alla fine abbiamo deciso di mettere in scena la loro visione dell’amore, del sesso, della vita».

Quindi c’è speranza per una rappresentazione migliore?«Benjamin e Joshua, così come altri esordienti presenti nel film, sono la dimostrazione che lì fuori c’è tanto potenziale inespresso. È fondamentale però che le persone con disabilità che vogliono fare questo mestiere abbiano talento, passione e preparazione. Un aspetto che sottolinea anche Emma Elena Ferrarotti, co-fondatrice di Queerky, la prima agenzia di talent inclusiva, che rappresenta sia Benjamin e Joshua sia altri attori e attrici del cast. La cosa più importante per chiunque voglia intraprendere la carriera attoriale è avere la possibilità di formarsi ed essere tutelato a 360°».

Ogni esperienza che viviamo in qualche modo contribuisce al cambiamento. Chi è oggi Valentina Bertani dopo aver girato La timidezza delle chiome?«Chi è oggi Valentina? Ancora non lo so, del resto il viaggio che riguarda l’identità è una scoperta continua. Quello che sicuramente ho capito è che utilizzare la propria voce è una grande responsabilità. Per esempio, a Venezia io e i gemelli abbiamo insistito per fare il red carpet insieme. Io ci sono andata vestita con i colori dell’arcobaleno, ed eravamo lì, tutti e tre tenendoci per mano, con l’intento di portare un messaggio chiaro: tutti hanno il diritto di sentirsi rappresentati». (di Marina Collu su vanityfair.it)
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