Cure oncologiche, prevenzione e disabilità: un’indagine per segnare una svolta
31-08-2024 15:22 - News
«Studi recenti dimostrano che le persone con disabilità hanno un rischio maggiore di sviluppare il cancro, di ricevere una diagnosi e un trattamento tardivi rispetto alle persone senza disabilità»: a dirlo è Luisella Bosisio Fazzi, rappresentante del FID (Forum Italiano sulla Disabilità) presso l’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità. Per questo è importante l’indagine lanciata dalla Commissione Europea, in collaborazione con lo stesso EDF, per raccogliere le opinioni delle persone con disabilità e valutarne l’accesso allo screening, alla diagnosi, ai trattamenti e alle cure oncologiche.
Medardo Rosso, “Malato all’ospedale”, circa 1889.
Quand’ero bambina si definiva “il brutto male”, un po’ sottovoce. La consapevolezza è aumentata, eppure il tumore è una malattia che ancora si fatica a chiamare per nome. Sono migliorate le cure, si può prevenire, scoprire e intervenire prima che sia troppo tardi, ma continua ad essere qualcosa che allontaniamo dal nostro pensiero, uno di quegli accadimenti che toccano gli altri, non noi.
Per “noi” intendo anche noi persone con disabilità. Abbiamo già altri problemi, possibile che possiamo anche ammalarci di tumore? Può succedere, «non dovete pensare che la disabilità vi renda immuni», ripete la neurologa che mi segue, e quando càpita, la diagnosi e il percorso terapeutico sono complicati per la mancanza di politiche inclusive nel settore sanitario che significa, nel concreto, barriere attitudinali, ambientali e comunicative.
Abbiamo cercato di saperne di più avvalendoci dell’esperienza e della preziosa collaborazione di Luisella Bosisio Fazzi, da anni attivista per il riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità e rappresentante del FID (Forum Italiano sulla Disabilità) presso l’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità. Incipit di questo incontro, un’indagine per valutare il livello di accesso allo screening, alla diagnosi, ai trattamenti e alle cure oncologiche per le persone con disabilità in Europa, della quale si è già data ampia informazione su queste stesse pagine (a questo link). Fino all’8 ottobre, dunque, sono disponibili per la compilazione online due questionari, uno in versione standard e un altro semplificato facile da leggere (rispettivamente (rispettivamente a questo e a questo link), che si rivolgono segnatamente a persone con disabilità che siano state sottoposte a screening per il cancro e a quelle cui è stato diagnosticato e trattato un tumore, anche attraverso studi clinici. Le opinioni raccolte serviranno a definire le linee guida per gli Stati Membri dell’Unione Europea sull’allargamento dell’accesso alle cure mediche e saranno utilizzate per la compilazione del Registro Europeo delle Disuguaglianze in materia di cancro.
Chiediamo dunque a Luisella Bosisio Fazzi lo stato dell’arte in materia di terapie oncologiche e disabilità: «Studi recenti – spiega – dimostrano che le persone con disabilità hanno un rischio maggiore di sviluppare il cancro, di ricevere una diagnosi e un trattamento tardivi e di morire di cancro, rispetto alle persone senza disabilità. L’EDF accoglie con favore il Piano Europeo per combattere il cancro e una maggiore inclusione delle persone con disabilità nelle politiche sanitarie dell’Unione Europea. Sfortunatamente, questo non si traduce in azioni concrete per garantire loro un accesso paritario allo screening e alle cure del cancro e per affrontare le disuguaglianze e i fattori preesistenti che le espongono a un rischio maggiore di ammalarsi di tumore».
“Fattori preesistenti”, ergo non si può parlare di cure oncologiche senza prima analizzare in generale l’accesso ai servizi sanitari, con problemi che si rilevano a monte: «Non sono disponibili statistiche sulla disabilità all’interno dei censimenti, delle indagini basate sulla popolazione e dei processi di raccolta dati di routine nel settore sanitario. Nulla sui minori con disabilità», precisa Bosisio Fazzi.
Eppure il tema non riguarda una minoranza, se pensiamo che in Europa ci sono 101 milioni di persone con disabilità con più di 16 anni; in Italia sono il 22,7% della popolazione totale (fonte: Eurostat 2022). Numeri che meritano una riflessione: «Eurostat raccoglie i dati dagli Istituti Nazionali dove ogni Paese ha una terminologia sulla disabilità e metodologie statistiche molto varie e soprattutto non uniformi – prosegue Bosisio Fazzi -. L’ISTAT, i cui dati sono fermi al 2021, ad esempio, usa la descrizione “persone per gravità delle limitazioni nelle attività abitualmente svolte” e inizia a “contare” le persone con disabilità all’ingresso della scuola dell’obbligo, non avendo quindi dati di minori da zero a sei anni. Successivamente le persone vengono collocate dentro “contenitori” quali salute, assistenza sociale, scuola, lavoro, trasporto eccetera, ognuna con una criticità diversa. Molto difficile, dunque, ricavare numeri plausibili». Una lacuna di dati attendibili e omogenei, quindi, tanto che quelli ufficiali europei si discostano da quelli dei singoli Stati, ed è per questo che «come EDF chiediamo di attivare una metodologia di raccolta omogenea nei vari Paesi dell’Unione Europea».
Riguardo al diritto alla salute, «è ovvio – secondo Bosisio Fazzi – che queste persone, adulte ripeto, hanno necessità di salute riguardanti sia la loro condizione di disabilità che quella generale non dipendente dalla disabilità».
Per far capire meglio la situazione e le difficoltà, vorrei parlare un po’ di me. Per eseguire una visita o un qualsiasi esame diagnostico, può essere anche una semplice ecografia, devo recarmi in ambulatori che non sempre hanno dimensioni adeguate per le manovre con una sedia a rotelle e per la gestione di eventuali ortesi, tipo busti ortopedici, che per essere tolti e rimessi necessitano anch’essi di spazi idonei e comodi. I lettini sono spesso vecchi, quelli più moderni che si alzano e si abbassano costano e pertanto le strutture sanitarie, anche quelle private, tengono i modelli datati finché reggono, mettendo a disagio gli utenti con disabilità e i loro accompagnatori. Pochi, inoltre, hanno a disposizione un sollevatore per chi ne ha necessità. Medesimo discorso per le apparecchiature diagnostiche, tanto che perfino quelle per un controllo oculistico difficilmente sono accessibili. Se, ad esempio, una persona non riesce a stare seduta su una comune seggiola oppure su uno sgabello alto per arrivare con gli occhi all’altezza dell’apparecchiatura, può eseguire un accertamento medico soltanto parziale (anche in questo caso parlo per esperienza diretta). Lo conferma Bosisio Fazzi, ponendo l’accento anche sulle barriere attitudinali che lei stessa ha riscontrato con il figlio: «Il personale spesso non è formato per rispondere ai timori e/o alle preoccupazioni che le persone con disabilità possono avere nell’accedere alle cure e agli esami sanitari; gli operatori non sono in grado di rispondere a timori e domande che possono essere espressi in maniera non adeguata o poco comprensibile. Per esempio difficoltà dovute ad afasia o disartrie, limiti personali nel descrivere sintomi o rispondere a domande con concetti non usuali, lentezza nella risposta. Ho passato ore in pronto soccorso o nei reparti per ricoveri con mio figlio con disabilità fisiche e intellettive, a combattere con operatori sanitari oberati, stanchi o superficiali, ricoveri dove ho inseguito medici e infermieri per farmi ascoltare».
Dalla ricerca condotta dalla stessa Bosisio Fazzi, è risultato che nel Rapporto sull’accesso alle cure sanitarie dell’EPF (European Patients’ Forum) sull’accesso alle cure sanitarie si trova una citazione sulla disabilità, quando «alla domanda se si fossero mai sentiti stigmatizzati quando cercavano o ricevevano assistenza sanitaria per una serie di motivi o caratteristiche, il 12,34% degli intervistati ha detto di avere subìto discriminazioni a causa della propria disabilità fisica, il 4,88% per la disabilità intellettiva».
Ci sono poi la mancanza di informazioni sanitarie in formati accessibili e le barriere finanziarie. Ne consegue che «le persone con disabilità hanno quattro volte più probabilità di avere bisogni sanitari insoddisfatti in quanto l’assistenza sanitaria è spesso troppo costosa, lontana e soggetta a lunghi tempi di attesa. I pazienti con multimorbilità e quelli con reddito più basso sono più vulnerabili».
Premesso che la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità sancisce all’articolo 25 (Salute) che il diritto alla salute è fondamentale per le persone con disabilità e che questa condizione non ne deve precludere il pieno godimento, torniamo sulle cure oncologiche e sul questionario ad esse dedicato, ovvero il motivo che ci ha fatto incontrare Luisella Bosisio Fazzi.
Si tratta del primo studio di questo genere in formato Easy to Read (“facile da leggere e da comprendere”) ed è anche il primo risultato dell’incessante lavoro che l’EDF ha portato avanti in questi anni per garantire a tutti e a tutte il diritto alla salute. Ma come ha contribuito a questo lavoro il Forum Italiano sulla Disabilità? «L’EDF – sottolinea Bosisio Fazzi – ha pubblicato una serie di documenti sull’argomento “diritto alla salute” che comprende anche il diritto all’accesso alle cure oncologiche. Dal canto suo il FID ha collaborato alla stesura dei vari documenti nonché ha fornito azioni per la loro diffusione».
Il cancro causa quasi un quarto di tutti i decessi nell’Unione Europea, Norvegia e Islanda, ed è confermato che gli screening sono associati a vite più lunghe e sane. Prendiamo il tumore al seno: i Paesi con il tasso di partecipazione più elevato allo screening sono quelli in cui è inferiore del rapporto tra mortalità e incidenza della malattia. Una donna con disabilità che deve sottoporsi ad una mammografia (ma il discorso vale per qualunque screening per i tumori femminili) non riesce nella maggior parte dei casi ad accedere agli strumenti diagnostici perché sono inaccessibili.
In Europa, la percentuale di donne con gravi disabilità e limitazioni funzionali che non hanno mai eseguito un esame radiografico del seno è del 3% più alta rispetto alle donne senza disabilità; i tassi più bassi si osservano tra le donne con difficoltà nello svolgere attività di cura di sé e con problemi di mobilità. Né vanno dimenticate le donne con problemi di udito, visivi e con difficoltà di concentrazione che non hanno mai eseguito una mammografia, e qui si torna al discorso delle barriere comunicative e della mancanza di formazione del personale sanitario. Io stessa non ho mai eseguito una mammografia, posso soltanto fare un’ecografia al seno, ma se è disponibile il servizio territoriale a domicilio, perché, come già detto, gli ambulatori e le apparecchiature non sono fruibili come dovrebbero. Come me tante amiche con disabilità e chissà quante altre che non conosco, visto che le donne con disabilità rappresentano il 25% della popolazione femminile italiana.
Saluto dunque con favore questa indagine, anche perché ci interpella, vuole cambiare le cose cominciando dall’ascolto delle persone con disabilità, fedele al motto Nulla su di Noi senza di Noi.
Domandiamo infine a Bosisio Fazzi quali saranno i passi successivi, una volta raccolti i dati dell’indagine: «Le prossime azioni dell’EDF, di concerto con le organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità, saranno di sollecito e pressione verso l’Unione Europea affinché gli screening dei tumori siano disponibili, accessibili e appropriati. La Commissione Europea deve prendere in considerazione lo sviluppo di standard di accessibilità per le apparecchiature di screening, come quelle utilizzate per le mammografie, e per i processi di trattamento, come la radioterapia. Inoltre la comunicazione dev’essere inclusiva e diffusa anche in luoghi chiusi come istituti, ospedali psichiatrici e carceri, in una varietà di formati accessibili, tra cui il linguaggio dei segni, il Braille e la lettura facilitata».
Si sente il bisogno di investire in politiche complete e inclusive di prevenzione e cura, il questionario è un primo passo per raccogliere dati disaggregati in base alla disabilità. Ad oggi, infatti, «nel Registro delle disuguaglianze in materia di cancro, purtroppo, la disabilità non è stata inclusa negli “indicatori di disuguaglianza”».
E concludo con una nota personale, dedicando questo articolo a Maria, una cara amica che per tanti anni ha lottato contro un tumore. Lo ha fatto sulla sua sedia a rotelle, recandosi alle sedute di chemioterapia, alle visite e agli esami di controllo, in ospedale per i ricoveri, con tutte le difficoltà che abbiamo elencato in queste righe. A lei, alla sua forza e alla sua risata contagiosa va il mio pensiero.
* Direttrice responsabile di «Superando.it», il portale promosso dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). Il presente servizio è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “‘Non ho mai potuto fare una mammografia’. Incontro con Luisa Bosisio Fazzi dell’European Disability Forum, sulle diseguaglianze, dovute alla disabilità, nelle cure oncologiche”) e viene qui ripreso, nella versione apparsa su «Superando.it», con alcune modifiche e integrazioni dovute al diverso contenitore, per gentile concessione.
Ricordiamo ancora i link (rispettivamente questo e questo) ai quali sono disponibili i questionari standard e in versione facile da leggere e da comprendere, di cui si parla nel presente servizio, aperti alla compilazione fino all’8 ottobre.
Medardo Rosso, “Malato all’ospedale”, circa 1889.
Quand’ero bambina si definiva “il brutto male”, un po’ sottovoce. La consapevolezza è aumentata, eppure il tumore è una malattia che ancora si fatica a chiamare per nome. Sono migliorate le cure, si può prevenire, scoprire e intervenire prima che sia troppo tardi, ma continua ad essere qualcosa che allontaniamo dal nostro pensiero, uno di quegli accadimenti che toccano gli altri, non noi.
Per “noi” intendo anche noi persone con disabilità. Abbiamo già altri problemi, possibile che possiamo anche ammalarci di tumore? Può succedere, «non dovete pensare che la disabilità vi renda immuni», ripete la neurologa che mi segue, e quando càpita, la diagnosi e il percorso terapeutico sono complicati per la mancanza di politiche inclusive nel settore sanitario che significa, nel concreto, barriere attitudinali, ambientali e comunicative.
Abbiamo cercato di saperne di più avvalendoci dell’esperienza e della preziosa collaborazione di Luisella Bosisio Fazzi, da anni attivista per il riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità e rappresentante del FID (Forum Italiano sulla Disabilità) presso l’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità. Incipit di questo incontro, un’indagine per valutare il livello di accesso allo screening, alla diagnosi, ai trattamenti e alle cure oncologiche per le persone con disabilità in Europa, della quale si è già data ampia informazione su queste stesse pagine (a questo link). Fino all’8 ottobre, dunque, sono disponibili per la compilazione online due questionari, uno in versione standard e un altro semplificato facile da leggere (rispettivamente (rispettivamente a questo e a questo link), che si rivolgono segnatamente a persone con disabilità che siano state sottoposte a screening per il cancro e a quelle cui è stato diagnosticato e trattato un tumore, anche attraverso studi clinici. Le opinioni raccolte serviranno a definire le linee guida per gli Stati Membri dell’Unione Europea sull’allargamento dell’accesso alle cure mediche e saranno utilizzate per la compilazione del Registro Europeo delle Disuguaglianze in materia di cancro.
Chiediamo dunque a Luisella Bosisio Fazzi lo stato dell’arte in materia di terapie oncologiche e disabilità: «Studi recenti – spiega – dimostrano che le persone con disabilità hanno un rischio maggiore di sviluppare il cancro, di ricevere una diagnosi e un trattamento tardivi e di morire di cancro, rispetto alle persone senza disabilità. L’EDF accoglie con favore il Piano Europeo per combattere il cancro e una maggiore inclusione delle persone con disabilità nelle politiche sanitarie dell’Unione Europea. Sfortunatamente, questo non si traduce in azioni concrete per garantire loro un accesso paritario allo screening e alle cure del cancro e per affrontare le disuguaglianze e i fattori preesistenti che le espongono a un rischio maggiore di ammalarsi di tumore».
“Fattori preesistenti”, ergo non si può parlare di cure oncologiche senza prima analizzare in generale l’accesso ai servizi sanitari, con problemi che si rilevano a monte: «Non sono disponibili statistiche sulla disabilità all’interno dei censimenti, delle indagini basate sulla popolazione e dei processi di raccolta dati di routine nel settore sanitario. Nulla sui minori con disabilità», precisa Bosisio Fazzi.
Eppure il tema non riguarda una minoranza, se pensiamo che in Europa ci sono 101 milioni di persone con disabilità con più di 16 anni; in Italia sono il 22,7% della popolazione totale (fonte: Eurostat 2022). Numeri che meritano una riflessione: «Eurostat raccoglie i dati dagli Istituti Nazionali dove ogni Paese ha una terminologia sulla disabilità e metodologie statistiche molto varie e soprattutto non uniformi – prosegue Bosisio Fazzi -. L’ISTAT, i cui dati sono fermi al 2021, ad esempio, usa la descrizione “persone per gravità delle limitazioni nelle attività abitualmente svolte” e inizia a “contare” le persone con disabilità all’ingresso della scuola dell’obbligo, non avendo quindi dati di minori da zero a sei anni. Successivamente le persone vengono collocate dentro “contenitori” quali salute, assistenza sociale, scuola, lavoro, trasporto eccetera, ognuna con una criticità diversa. Molto difficile, dunque, ricavare numeri plausibili». Una lacuna di dati attendibili e omogenei, quindi, tanto che quelli ufficiali europei si discostano da quelli dei singoli Stati, ed è per questo che «come EDF chiediamo di attivare una metodologia di raccolta omogenea nei vari Paesi dell’Unione Europea».
Riguardo al diritto alla salute, «è ovvio – secondo Bosisio Fazzi – che queste persone, adulte ripeto, hanno necessità di salute riguardanti sia la loro condizione di disabilità che quella generale non dipendente dalla disabilità».
Per far capire meglio la situazione e le difficoltà, vorrei parlare un po’ di me. Per eseguire una visita o un qualsiasi esame diagnostico, può essere anche una semplice ecografia, devo recarmi in ambulatori che non sempre hanno dimensioni adeguate per le manovre con una sedia a rotelle e per la gestione di eventuali ortesi, tipo busti ortopedici, che per essere tolti e rimessi necessitano anch’essi di spazi idonei e comodi. I lettini sono spesso vecchi, quelli più moderni che si alzano e si abbassano costano e pertanto le strutture sanitarie, anche quelle private, tengono i modelli datati finché reggono, mettendo a disagio gli utenti con disabilità e i loro accompagnatori. Pochi, inoltre, hanno a disposizione un sollevatore per chi ne ha necessità. Medesimo discorso per le apparecchiature diagnostiche, tanto che perfino quelle per un controllo oculistico difficilmente sono accessibili. Se, ad esempio, una persona non riesce a stare seduta su una comune seggiola oppure su uno sgabello alto per arrivare con gli occhi all’altezza dell’apparecchiatura, può eseguire un accertamento medico soltanto parziale (anche in questo caso parlo per esperienza diretta). Lo conferma Bosisio Fazzi, ponendo l’accento anche sulle barriere attitudinali che lei stessa ha riscontrato con il figlio: «Il personale spesso non è formato per rispondere ai timori e/o alle preoccupazioni che le persone con disabilità possono avere nell’accedere alle cure e agli esami sanitari; gli operatori non sono in grado di rispondere a timori e domande che possono essere espressi in maniera non adeguata o poco comprensibile. Per esempio difficoltà dovute ad afasia o disartrie, limiti personali nel descrivere sintomi o rispondere a domande con concetti non usuali, lentezza nella risposta. Ho passato ore in pronto soccorso o nei reparti per ricoveri con mio figlio con disabilità fisiche e intellettive, a combattere con operatori sanitari oberati, stanchi o superficiali, ricoveri dove ho inseguito medici e infermieri per farmi ascoltare».
Dalla ricerca condotta dalla stessa Bosisio Fazzi, è risultato che nel Rapporto sull’accesso alle cure sanitarie dell’EPF (European Patients’ Forum) sull’accesso alle cure sanitarie si trova una citazione sulla disabilità, quando «alla domanda se si fossero mai sentiti stigmatizzati quando cercavano o ricevevano assistenza sanitaria per una serie di motivi o caratteristiche, il 12,34% degli intervistati ha detto di avere subìto discriminazioni a causa della propria disabilità fisica, il 4,88% per la disabilità intellettiva».
Ci sono poi la mancanza di informazioni sanitarie in formati accessibili e le barriere finanziarie. Ne consegue che «le persone con disabilità hanno quattro volte più probabilità di avere bisogni sanitari insoddisfatti in quanto l’assistenza sanitaria è spesso troppo costosa, lontana e soggetta a lunghi tempi di attesa. I pazienti con multimorbilità e quelli con reddito più basso sono più vulnerabili».
Premesso che la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità sancisce all’articolo 25 (Salute) che il diritto alla salute è fondamentale per le persone con disabilità e che questa condizione non ne deve precludere il pieno godimento, torniamo sulle cure oncologiche e sul questionario ad esse dedicato, ovvero il motivo che ci ha fatto incontrare Luisella Bosisio Fazzi.
Si tratta del primo studio di questo genere in formato Easy to Read (“facile da leggere e da comprendere”) ed è anche il primo risultato dell’incessante lavoro che l’EDF ha portato avanti in questi anni per garantire a tutti e a tutte il diritto alla salute. Ma come ha contribuito a questo lavoro il Forum Italiano sulla Disabilità? «L’EDF – sottolinea Bosisio Fazzi – ha pubblicato una serie di documenti sull’argomento “diritto alla salute” che comprende anche il diritto all’accesso alle cure oncologiche. Dal canto suo il FID ha collaborato alla stesura dei vari documenti nonché ha fornito azioni per la loro diffusione».
Il cancro causa quasi un quarto di tutti i decessi nell’Unione Europea, Norvegia e Islanda, ed è confermato che gli screening sono associati a vite più lunghe e sane. Prendiamo il tumore al seno: i Paesi con il tasso di partecipazione più elevato allo screening sono quelli in cui è inferiore del rapporto tra mortalità e incidenza della malattia. Una donna con disabilità che deve sottoporsi ad una mammografia (ma il discorso vale per qualunque screening per i tumori femminili) non riesce nella maggior parte dei casi ad accedere agli strumenti diagnostici perché sono inaccessibili.
In Europa, la percentuale di donne con gravi disabilità e limitazioni funzionali che non hanno mai eseguito un esame radiografico del seno è del 3% più alta rispetto alle donne senza disabilità; i tassi più bassi si osservano tra le donne con difficoltà nello svolgere attività di cura di sé e con problemi di mobilità. Né vanno dimenticate le donne con problemi di udito, visivi e con difficoltà di concentrazione che non hanno mai eseguito una mammografia, e qui si torna al discorso delle barriere comunicative e della mancanza di formazione del personale sanitario. Io stessa non ho mai eseguito una mammografia, posso soltanto fare un’ecografia al seno, ma se è disponibile il servizio territoriale a domicilio, perché, come già detto, gli ambulatori e le apparecchiature non sono fruibili come dovrebbero. Come me tante amiche con disabilità e chissà quante altre che non conosco, visto che le donne con disabilità rappresentano il 25% della popolazione femminile italiana.
Saluto dunque con favore questa indagine, anche perché ci interpella, vuole cambiare le cose cominciando dall’ascolto delle persone con disabilità, fedele al motto Nulla su di Noi senza di Noi.
Domandiamo infine a Bosisio Fazzi quali saranno i passi successivi, una volta raccolti i dati dell’indagine: «Le prossime azioni dell’EDF, di concerto con le organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità, saranno di sollecito e pressione verso l’Unione Europea affinché gli screening dei tumori siano disponibili, accessibili e appropriati. La Commissione Europea deve prendere in considerazione lo sviluppo di standard di accessibilità per le apparecchiature di screening, come quelle utilizzate per le mammografie, e per i processi di trattamento, come la radioterapia. Inoltre la comunicazione dev’essere inclusiva e diffusa anche in luoghi chiusi come istituti, ospedali psichiatrici e carceri, in una varietà di formati accessibili, tra cui il linguaggio dei segni, il Braille e la lettura facilitata».
Si sente il bisogno di investire in politiche complete e inclusive di prevenzione e cura, il questionario è un primo passo per raccogliere dati disaggregati in base alla disabilità. Ad oggi, infatti, «nel Registro delle disuguaglianze in materia di cancro, purtroppo, la disabilità non è stata inclusa negli “indicatori di disuguaglianza”».
E concludo con una nota personale, dedicando questo articolo a Maria, una cara amica che per tanti anni ha lottato contro un tumore. Lo ha fatto sulla sua sedia a rotelle, recandosi alle sedute di chemioterapia, alle visite e agli esami di controllo, in ospedale per i ricoveri, con tutte le difficoltà che abbiamo elencato in queste righe. A lei, alla sua forza e alla sua risata contagiosa va il mio pensiero.
* Direttrice responsabile di «Superando.it», il portale promosso dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). Il presente servizio è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “‘Non ho mai potuto fare una mammografia’. Incontro con Luisa Bosisio Fazzi dell’European Disability Forum, sulle diseguaglianze, dovute alla disabilità, nelle cure oncologiche”) e viene qui ripreso, nella versione apparsa su «Superando.it», con alcune modifiche e integrazioni dovute al diverso contenitore, per gentile concessione.
Ricordiamo ancora i link (rispettivamente questo e questo) ai quali sono disponibili i questionari standard e in versione facile da leggere e da comprendere, di cui si parla nel presente servizio, aperti alla compilazione fino all’8 ottobre.