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Roma, le Paralimpiadi di ogni giorno: "Una vita a ostacoli tra barriere e inciviltà. Così vinco la mia medaglia d´oro"

21-09-2016 14:56 - News
ROMA. "La mia Paralimpiade quotidiana? Andare alla Posta senza rimetterci la pelle e senza che la mia carrozzina si schianti tra le buche dell´asfalto romano. Fare la spesa e non restare bloccato come un fesso perché c´è la solita auto parcheggiata sulla rampa, e magari raggiungere gli amici per una birra a Campo dè Fiori, evitando di litigare con chi ha occupato il posto disabili e ti insulta se chiedi di parcheggiare. Per il resto però tutto bene, iniziamo il tour, volete un caffè?". Impossibile non sorridere all´ironia tagliente di Stefano Asaro, 35 anni, tetraplegico e giocatore di rugby, occhi azzurri e testarda tenacia, mentre esce dal suo appartamento nel quartiere periferico di Tor Tre Teste, spingendo da solo la carrozzina in carbonio, per cominciare la sua giornata di persona disabile nella Capitale d´Italia. Ossia la quotidiana odissea di un giovane uomo che, dalla prospettiva di una sedia a rotelle, combatte per la dignità della vita. Perché, finite le Paralimpiadi di Rio, passata l´ebbrezza per le medaglie azzurre, l´handicap torna ad essere handicap, in un metropoli dove la fragilità non è ammessa. "Niente pietismi però, non lo sopporto", avverte Stefano, con il quale abbiamo condiviso una mattinata e un pomeriggio diversamente normali. La spesa, le bollette, il bancomat. E il desiderio impossibile di un aperitivo in centro.

La squadra di rugby. Alle spalle del residence del Comune in cui Stefano abita, ecco le "vele" della famosa chiesa Dio padre misericordioso dell´archistar Richard Meyer, davanti agli occhi la strada bombardata di buche, i travertini divelti, e l´inaccessibile fermata del bus 556 su un marciapiede troppo alto. "Nemmeno impennando la carrozzina potrei salire", indica Stefano Asaro, che di professione insegna alle persone disabili a diventare autonome, ha studiato psicologia, fino a qualche mese fa aveva una fidanzata e sogna di fare lo chef. Ma soprattutto fa parte della squadra romana e si allena con la nazionale di rugby in carrozzina. "C´è un libro su di noi, si chiama Vincenti".

Camminando senza rete. "Pronti per un film horror? Andiamo alla Posta...", annuncia. È un po´ prima di mezzogiorno in via Francesco Tovaglieri, periferia Est della Capitale. Subito dopo un caffè in un bar ben accessibile, tentiamo di fermarci al supermercato per fare la spesa. Ma la rampa di accesso è bloccata da un´auto. "Accade in continuazione, dovrò tornare più tardi", mormora Stefano, che rinuncia a fare la spesa. Il percorso verso l´ufficio postale e il bancomat è uno slalom che fa paura. "Guardate: il marciapiede non ha scivoli, se tento di salire non posso più scendere, quindi l´unico modo per arrivare in via Campari è stare con la carrozzina in mezzo alla strada. Sperando di non essere ridotto a brandelli, ma non c´è alternativa". Lo dice sul filo dell´ironia Stefano, ma la realtà è anche peggio: immobilizzato dal torace in giù, spinge tenacemente le ruote della sua sedia, cercando di restare al lato della carreggiata, tra le auto che sfrecciano e rallentano di botto quando lo incrociano. La fatica di Stefano è evidente, ma l´approdo nasconde un paradosso: il bancomat della filiale della banca accanto per lui è inaccessibile. Ci sono una porta ed un gradino. "Non riuscirei a salire nemmeno spinto da un accompagnatore, non ho il controllo del busto e potrei cadere in avanti...".
Roma, l´odissea dei disabili: ogni giorno una "Paralimpiade".

Il tuffo nella notte. Si torna indietro. È quasi ora di pranzo. Il piccolo parco del quartiere è una zona d´ombra. Ma è off limits. "Ecco l´accesso, la mia carrozzina non c´entra, vi sembra possibile?". Due transenne di ferro delimitano infatti l´imbocco del viottolo sterrato. La sedia a rotelle resta incastrata. "Se provo rabbia? No, io combatto per difendere i miei diritti di persona. Autonoma, anche se disabile". E infatti è questa la sfida di Stefano Asaro, da quando, era il 2000, l´estate dopo la maturità scientifica, con gli amici decise di fare il bagno di notte. A Modica, in Sicilia. "Da quello scoglio ci tuffavamo fin da bambini, conoscevamo i fondali alti". Invece quella notte accade qualcosa: l´acqua è improvvisamente più bassa, Stefano si butta e l´impatto sul fondale è violentissimo. "La guardia medica si rifiutò di venire a soccorrermi, sono stati gli amici a portarmi all´ospedale. Probabilmente, se l´ambulanza fosse arrivata subito, non sarei in queste condizioni". Le gambe paralizzate a vita, le mani che non hanno più presa, il tronco bloccato. Tetraplegia da tuffo. Ma Stefano è un irrequieto e non si arrende all´handicap. È giovane, è un bellissimo ragazzo e vuole vivere. "Dopo due anni ho deciso di trasferirmi a Roma, alla Casa dello studente, accessibile ai disabili, per studiare Psicologia. I miei genitori erano terrorizzati, ma è stata una grande conquista". La dottoressa della guardia mediaca è stata condannata per omissione di soccorso, ma il processo civile è invece ancora in corso.

L´aperitivo impossibile. Stefano spinge la carrozzina e racconta. Gli anni dell´università: "Mi sono divertito, ho avuto tanti amici e tanti amori". La sfida durissima per imparare a essere autonomo, perché, dice, "se ti fai assistere troppo smetti di vivere". "Prendiamo la macchina e andiamo a Campo dè Fiori? È un posto che adoro, ma non riesco quasi mai ad arrivarci". L´auto di Stefano, che oggi lavora al "Centro per l´autonomia" di Roma, insegna cioè agli altri come essere autosufficienti seppure in carrozzina (dall´andare al bagno al cucinare, dall´uscire da soli a non rinunciare all´amore), sembra un´astronave. Facendo forza sui gomiti, Stefano si sposta sul sedile, con un solo braccio chiude la carrozzina, e con una carrucola speciale la issa sul cofano. "Ingegnoso, no? Ma non l´ho inventato io, a differenza di molti ausili che progetto per la mia vita quotidiana e che mi piacerebbe brevettare".

Stefano guida sicuro verso il centro di Roma, ci vuole oltre un´ora per arrivare, ma l´approdo a piazza Campo dè Fiori e ai suoi locali si rivela una lotta impari tra abusi e prepotenze. Tutti i parcheggi per disabili sono occupati abusivamente. Il massimo della sfrontatezza lo raggiunge un ristoratore in piazza della Cancelleria. Il posteggio è bloccato da due grosse piante, dove verranno posizionati tavolini illegali. "Scusi, è un posto riservato, dovremmo parcheggiare". "E io devo lavorà, cercateve un altro parcheggio". Potrebbe finire male, ci spostiamo e alla fine fortunosamente un parcheggio viene fuori. Ma l´aperitivo si rivela impossibile: "Guardate i gradini dei locali, la mia carrozzina non può salire". Si potrebbe restare fuori, bere una birra in piazza, ma la sedia a rotelle di Stefano arranca sui sampietrini. "Per noi sono pericolosissimi, sono così sconnessi che le ruote ci restano incastrate. La verità è che non esiste un pensiero sulle persone disabili, c´è pietà o indifferenza. Invece ciò di cui abbiamo bisogno sono normalità ed eguaglianza".

Lo shopping negato. Stefano è stanco, ma resiste: è un atleta. "La squadra di rugby per me è ormai una seconda famiglia. Ho viaggiato con i miei compagni in tutta Europa, siamo fortissimi. Lo sport ti aiuta nell´autonomia, nell´autostima. Come scrivo? Le mie mani non hanno presa, allora metto una penna tra le dita e la tengo con queste fasce che mi avvolgono i palmi. Così riesco anche a cucinare, anzi: sono bravissimo, ma nessuno accetta uno chef disabile. Quando non riesco a fare qualcosa invento l´ausilio che mi serve. L´ultimo? Un attrezzo per chiudere la macchina del caffè". Indomito. "Non vado in via del Corso da anni...". Da piazza del Collegio Romano Stefano spinge la sedia su dossi di sampietrini che sembrano, dice, "una visione di Escher". Ma arrivati in fondo a via Lata, ecco la beffa: un lastrone di pietra blocca l´accesso verso piazza Venezia. Stefano sorride: "La rabbia non serve, fa male. Torniamo a casa. La battaglia per i diritti delle persone disabili è ancora lunga."
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