Il decreto lavoro e le misure per la disabilità 7 Maggio 2023

17-05-2023 14:55 -

Nella Gazzetta ufficiale del 4 maggio 2023 è stato dunque pubblicato il decreto-legge 48/2023 (Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro) approvato nel Consiglio dei Ministri del 1° maggio. Sui contenuti vi sono state anticipazioni di stampa e raccolte dichiarazioni da più parti. Essendo ora disponibile il testo ufficiale, che a breve approderà alle Camere per le eventuali modifiche e la conversione in legge, è possibile formulare l’analisi e alcune osservazioni. Ci concentriamo qui sugli aspetti direttamente afferenti alla disabilità, pur trattando il decreto molti altri aspetti.

Per favorire la lettura, proponiamo all’inizio una sintesi estrema che può essere approfondita scorrendo poi l’articolo. Ecco i temi.

L’Assegno di inclusione: è la misura di contrasto alla povertà e per l’inclusione sociale che sostituisce il Reddito di cittadinanza (RdC). La platea, rispetto al RdC, è molto più ristretta. Si aggiunga che gli attuali criteri di accesso per i nuclei con persone con disabilità risultano tanto restrittivi – ancora più del RdC – da indurre il ragionevole che il numero dei beneficiari finali sia estremamente risicato e che gli importi erogati non rappresentino una svolta inclusiva per quei nuclei.
Incentivi per le assunzioni: sono previsti a favore di chi assume persone titolari di Assegno di inclusione. Si tratta di un esonero per un anno dai contributi previdenziali a carico dell’azienda, diversificato a seconda del tipo di contratto. È inoltre previsto un contributo, che appare piuttosto limitato nel tempo e nella misura, per gli enti che svolgano contemporaneamente mediazione e accompagnamento di lavoratori con disabilità, solo se titolari di Assegno di inclusione.
Terzo settore e assunzioni di persone con disabilità: il decreto istituisce un Fondo volto a garantire un contributo per ciascuna persona con disabilità di età compresa fra i 18 e i 35 anni assunta da organizzazioni di Terzo settore tra agosto 2022 e dicembre 2023. Non è precisato a quanto ammonti il contributo e le modalità di accesso. I criteri verranno definiti entro marzo 2024.
Fondo per le attività socio-educative a favore dei minori: il decreto istituisce anche un altro Fondo, dotandolo di 60 milioni di euro, destinato a sostenere i Comuni per iniziative socio-educative rivolte ai minori. Anche in questo caso seguirà un decreto di riparto. Nel testo nessun vincolo per le pari opportunità dei minori con disabilità.

Il decreto legge 48/2023 attua la volontà espressa dal nuovo Esecutivo di rivedere e superare lo strumento del Reddito di cittadinanza introducendo una nuova misura, l’Assegno di inclusione, che restringe fortemente la platea dei beneficiari e rivede le formule e le procedure mirate a favorire l’inclusione lavorativa delle persone fruitrici dell’Assegno stesso.

Va detto che alcune formule di calcolo dei requisiti economici per accedere al nuovo beneficio risultano molto simili a quelle già adottate per il Reddito di cittadinanza (RdC) e – ancora prima dal Reddito di inclusione (ReI), ma alcuni nuovi criteri definiscono condizioni tanto restrittive da porre oggettivamente l’interrogativo su quanti potranno effettivamente accedervi, in particolare le persone con disabilità.

La logica su cui si basa l’Assegno di inclusione è di garantire ad una certa tipologia di nuclei familiari, la disponibilità annuale di 6000 euro o 7560 euro (in casi eccezionali). Le due cifre sono adeguate alla composizione del nucleo. L’Assegno copre la differenza fra gli introiti già percepiti dal nucleo (provvidenze assistenziali largamente incluse) e, appunto, il limite reddituale, cioè quello che manca per arrivare a 6.000 o a 7.560 euro moltiplicate per alcuni indicatori (scala di equivalenza) di cui si dirà dopo

Iniziamo con la platea. L’Assegno di inclusione è rivolto solo a nuclei in cui siano presenti minori, persone con disabilità, persone con più di 60 anni di età, residenti in Italia da almeno cinque anni, di cui gli ultimi due in via continuativa.

Veniamo poi ai criteri relativi alla situazione economica del nucleo.

Il primo requisito è che il nucleo non superi l’ISEE, cioè l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente, di 9.360 euro. L’ISEE è quello ordinario; nel caso di minori si seguono regole di calcolo specifiche. Questo limite è uguale a quello che era previsto per il Reddito di cittadinanza.
Si ricorderà che nell’ISEE non sono computate le provvidenze assistenziali erogate per la disabilità (pensioni, assegni, indennità per le minorazioni civili). Si rammenterà inoltre che nell’ISEE si computa, al netto di alcune franchigie, anche parte del patrimonio del nucleo.

Il secondo requisito, da osservare con maggiore attenzione, è quello del reddito che va considerato sia per l’eventuale accesso al beneficio, che per il successivo calcolo del suo importo. Anche qui il meccanismo e la logica sono, più o meno, i medesimi già adottati per il Reddito di cittadinanza.

Il limite reddituale “base” per l’Assegno di inclusione è di 6.000 euro per l’intero nucleo (lo stesso previsto dal RdC).
Quel limite reddituale “base” viene elevato a 7.560 euro solo in due casi:

1. nucleo familiare composto da persone tutte di età pari o superiore a 67 anni;
2. nucleo familiare composto da persone di età pari o superiore a 67 anni e da altri familiari tutti in condizioni di disabilità grave o di non autosufficienza.

Curiosamente il testo del decreto non contempla, ai fini del limite di maggior favore (7.560 euro), l’ipotesi di un nucleo composto solo da una persona con disabilità grave o non autosufficiente o da più persone con disabilità grave, senza altri componenti.

Alcuni esempi:

Nucleo con un genitore di 70 anni e un figlio con disabilità grave: limite base 7.560 euro
Nucleo con un genitore di 65 anni e un figlio con disabilità grave: limite base 6.000 euro
Nucleo con marito di 50 anni e moglie con disabilità grave: limite base 6.000 euro
Nucleo con due genitori (lui 72 anni, lei 65) e due figli non autosufficienti: limite base 6.000 euro
Nucleo con due genitori (45 anni) e due figli non autosufficienti minori: limite base 6.000 euro
Nucleo con due genitori 67 anni e figlio con disabilità media (invalido 80%): limite base 6.000 euro

Per la definizione di “disabilità grave” e di “non autosufficienza” il testo rimanda allo specifico allegato (il 3) del DPCM 159/2013, quello che ha regolamentato l’ISEE. Nella disabilità grave rientra chi è riconosciuto con “handicap grave” (art. 3, comma 3, della legge 104/1992), gli invalidi al 100%, i ciechi parziali, i sordi ecc. Nella non autosufficienza vengono ricondotte invece tutte le persone che sono titolari di indennità di accompagnamento (invalidi e ciechi) e altri casi.

Abbiamo scritto “limite base”. Il limite base va moltiplicato secondo una scala di equivalenza per definire qual è quello di riferimento per il nucleo.
È proprio la scala di equivalenza per l’Assegno di inclusione la maggiore differenza rispetto a quella adottata per il Reddito di cittadinanza.
Il limite di reddito base, infatti, va moltiplicato per i differenti valori indicati nella scala di equivalenza.
Il valore assunto per il nucleo che al suo interno abbia un minore o una persona con disabilità (media, grave o non autosufficiente) o una persona con 60 e più anni è pari a 1.

A 1 si aggiungono i seguenti valori:

a) 0,5 per ciascun altro componente con disabilità o non autosufficiente;
b) 0,4 per ciascun altro componente con età pari o superiore a 60 anni;
c) 0,4 per ciascun altro componente maggiorenne con carichi di cura;
d) 0,15 per ciascun minore di età, fino a due;
e) 0,10 per ogni ulteriore minore di età oltre il secondo.

Il “componente con carichi di cura” è quello presente nel nucleo in cui vi siano bambini minori di tre anni di età, tre o più figli minori di età, persone con disabilità o non autosufficienza.
La dizione “ciascun altro” usata nel testo del decreto lascia supporre che questi venga conteggiato solo quando il primo componente (persona con disabilità o di 60 anni e più) sia già stato considerato per il diritto all’accesso al beneficio.

Il massimo valore ammissibile è 2,2 oppure 2,3 in presenza di componenti in condizione di disabilità grave o non autosufficienza.

Ad esempio: in un nucleo con una persona non autosufficiente e un genitore di 62 anni, il valore dovrebbe essere 1 + 0,5 = 1,5. In questo caso, dunque, il limite reddituale sarebbe 6.000 x 1,5 = 9.000
Ad esempio: in un nucleo con una persona non autosufficiente e un genitore di 75 anni, il valore dovrebbe essere 1 + 0,5 = 1,5. In questo caso, dunque, il limite reddituale sarebbe 7.560 x 1,5 = 11.340
Ad esempio: in un nucleo con due genitori e due minori di cui uno con grave disabilità il valore dovrebbe essere 1 + 0,5 + 0,15 + 0,4 = 2,05. In questo caso, dunque, il limite reddituale sarebbe 6.000 x 1,5 = 12.300

Il massimo del punteggio (2,3) lo raggiunge, ad esempio, un nucleo in cui vi siano due disabili non autosufficienti e due anziani. In questo caso il reddito ammesso è di 17.388 euro (importo che coinciderebbe anche con il limite massimo – e del tutto teorico – del successivo contributo). Tuttavia, si tratta di una situazione assai improbabile poiché i due non autosufficienti verosimilmente sono già titolati di pensione e di maggiorazione o non vi siano già in atto provvidenze assistenziali. Il che, come vedremo di seguito, impatta direttamente sull’accesso al beneficio e/o sulla sua effettiva consistenza.

Va rilevato che il testo del decreto nella parte relativa alla scala di equivalenza rivela delle approssimazioni definitorie tanto da far ritenere, nell’incertezza, che quanto appena esposto rappresenti l’ipotesi più rosea.

Ma cosa è incluso nel reddito? Sono inclusi, innanzitutto, tutti i redditi imponibili ai fini IRPEF, redditi agricoli, redditi fondiari, ogni altra componente reddituale esente da imposta, assegni per il mantenimento di figli effettivamente percepiti, trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche. Nella sostanza il reddito che risulta, come componente specifica, dall’ISEE.
Come si ricorderà, in seguito a specifiche sentenze del Consiglio di Stato, già nel 2016 è stato escluso, ai fini dell’ISEE, il computo di tutte le provvidenze per invalidità civile, cecità, sordità.
Tuttavia, per l’Assegno di inclusione, come già per il Reddito di cittadinanza, si superano quelle indicazioni e si computano anche tutte le provvidenze erogate per la disabilità (escluse le indennità di accompagnamento e di comunicazione).

Il decreto 48/2023 infatti stabilisce che, ai fini del computo del reddito, “sono detratti i trattamenti assistenziali inclusi nell’ISEE e sommati tutti quelli in corso di godimento, che saranno rilevati nell’ISEE, da parte degli stessi componenti, fatta eccezione per le prestazioni non sottoposte alla prova dei mezzi.”
Il che significa che vengono conteggiate anche le pensioni e gli assegni per invalidità, cecità, sordità, oltre all’indennità di frequenza. Il decreto esclude invece le erogazioni a fronte di rendicontazione di spese sostenute e le erogazioni in forma di buoni servizio o altri titoli che svolgono la funzione di sostituzione di servizi. Con questa definizione potrebbero essere computati, ad esempio, i contributi per i caregiver familiari quando non sia prevista rendicontazione.

Per comprendere l’impatto di questa indicazione – non dissimile dal Reddito di cittadinanza e dal precedente Reddito di Inclusione – vale la pena di ricordare che attualmente un invalido totale, privo di qualsiasi altro introito, percepisce la pensione (313,91 euro) e la maggiorazione (386,27 euro), pari a 700,18 euro, per 13 mensilità.
Costui, quand’anche il suo ISEE sia pari zero, potrebbe quindi contare su un introito di 9.102,34 euro l’anno. E, se vivesse con la moglie di 50 anni, disoccupata e priva di redditi, il loro limite reddituale ai fini dell’Assegno sarebbe di 8.400 euro. Il nucleo rimarrà dunque escluso dall’Assegno di inclusione. Qualcuno potrebbe osservare che non è detto che quell’invalido percepisca la maggiorazione; è vero: ma se non la percepisce o la percepisce solo in parte significa che ha altri redditi o comunque introiti; il che esclude il caso esaminato comunque dall’accesso all’Assegno di inclusione.

Facciamo un altro esempio: una coppia (sotto i 67 anni), lui invalido parziale privo di reddito salvo l’assegno mensile (4.080,83 per anno), lei inoccupata e priva di reddito; il loro limite reddituale sarebbe di 8.400 euro. L’importo dell’Assegno mensile consterebbe di 359,90 euro, cioè la cifra che sommata all’assegno di invalido parziale consente al nucleo di arrivare a 8400. Qualsiasi introito in più andrebbe ovviamente ad abbassare quei 359,90 euro. Conseguentemente la coppia potrà contare in un mese su 673,81 euro (313,91 per in invalidità più 359,90 euro di Assegno).

È verosimile ritenere che, attraverso questi meccanismi, la platea delle persone con disabilità che avranno accesso all’Assegno di inclusione risulterà molto compressa, e comunque, anche nel caso vi accedano, mai potrebbero raggiungere il massimo importo solo tecnicamente previsto. In realtà la stessa considerazione potrebbe essere applicata agli over67. Dall’importo massimo possibile dell’Assegno di inclusione andrebbe comunque detratto tutto ciò che percepiscono come probabile prestazione assistenziale. Dunque, i nuclei che hanno un ISEE pari a zero, è tutt’altro che scontato che accedano al sostegno.

Anche per l’Assegno di inclusione, come già per il Reddito di cittadinanza, è previsto che chi rientri nei criteri (magari di pochissimo) possa comunque ricevere il beneficio minimo di 480 euro: 480 euro, l’anno, cioè 40 euro al mese.

Oltre ai due requisiti di cui si è detto, sono previsti anche vincoli sul patrimonio.

1. il valore del patrimonio immobiliare, come definito ai fini ISEE, diverso dalla casa di abitazione di valore ai fini IMU non superiore ad euro 150.000, non deve superare i 30.000 euro;

2. la soglia del patrimonio mobiliare (titoli, conti correnti ecc.) non deve superare i 6.000 euro, accresciuta di 2.000 euro per ogni componente il nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10.000 euro, incrementato di ulteriori 1.000 euro per ogni minorenne successivo al secondo; i predetti massimali sono ulteriormente incrementati di 5.000 euro per ogni componente in condizione di disabilità e di 7.500 euro per ogni componente in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza.

La domanda dell’Assegno di inclusione va presentata ad INPS. Nel caso vi siano i presupposti di diritto, INPS informa il richiedente che, per ricevere il beneficio economico, deve effettuare l’iscrizione presso il Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa (SIISL), per poi sottoscrivere un patto di attivazione digitale. Il richiedente deve espressamente autorizzare la trasmissione dei dati relativi alla domanda ai centri per l’impiego, alle agenzie per il lavoro e agli enti autorizzati all’attività di intermediazione.

Secondo gli intenti del decreto, il SIISL rappresenterebbe lo strumento per “consentire l’attivazione dei percorsi personalizzati per i beneficiari dell’Assegno di inclusione, assicurando il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni, e per favorire percorsi autonomi di ricerca di lavoro e rafforzamento delle competenze da parte dei beneficiari, nonché per finalità di analisi, monitoraggio, valutazione e controllo dell’Assegno di inclusione.”

I nuclei familiari beneficiari dell’Assegno di inclusione, una volta sottoscritto il patto di attivazione digitale, sono tenuti ad aderire ad un percorso personalizzato di inclusione sociale o lavorativa con relativo patto di servizio personalizzato (patto di inclusione). In particolare, sono tenuti all’obbligo di adesione e alla partecipazione attiva a tutte le attività formative, di lavoro, nonché alle misure di politica attiva, comunque denominate, individuate nel progetto di inclusione sociale e lavorativa, i componenti del nucleo familiare, maggiorenni, che esercitino la responsabilità genitoriale, non già occupati e non frequentanti un regolare corso di studi e che non abbiano carichi di cura.

Sono esclusi da questi obblighi, le persone con età pari o superiore ai 60 anni, le persone con disabilità, le persone affette da patologie oncologiche.

L’Assegno viene invece revocato quando i componenti del nucleo non esonerati non partecipino, in assenza di giustificato motivo, alle iniziative di carattere formativo o di riqualificazione o ad altra iniziativa di politica attiva o di attivazione, o non rispettino gli impegni concordati con i servizi sociali nell’ambito del percorso personalizzato. Revoca attuata anche qualora non accettino, senza giustificato motivo, un’offerta di lavoro.

Si segnala che il decreto 48/2023 attribuisce ai servizi sociali il compito di effettuare la valutazione multidimensionale dei bisogni del nucleo familiare, finalizzata alla sottoscrizione di un patto per l’inclusione. Il decreto non restituisce un quadro esatto del flusso operativo, delle responsabilità, delle competenze, delle correlazioni con i servizi già esistenti, salvo il fatto che la gestione informatica viene affidata ad INPS.

L’Assegno di inclusione, una volta concesso, viene erogato mensilmente tramite la Carta di inclusione. L’Assegno ha durata 18 mesi. Può essere rinnovato successivamente, per durate di 12 mesi. Fra un rinnovo e l’altro è prevista sempre l’interruzione di un mese.
Incentivi per le assunzioni

Gli incentivi di cui stiamo per scrivere sono concessi solo nel caso in cui i lavoratori assunti siano beneficiari di Assegno di inclusione che, come si è detto, si rivolge ad una platea potenzialmente molto limitata fra le persone con disabilità. Conseguentemente l’impatto prevedibile potrebbe risultare assai debole.

Il decreto 48/2023, all’articolo 10, prevede che ai datori di lavoro privati che assumano beneficiari dell’Assegno di inclusione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, pieno o parziale, o anche mediante contratto di apprendistato, sia riconosciuto, per un periodo massimo di dodici mesi, l’esonero dal versamento del 100 per cento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, con esclusione dei premi e dei contributi dovuti all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), nel limite massimo di importo pari a 8.000 euro su base annua. Dunque, per un anno il datore di lavoro non verserebbe i contributi previdenziali, o verserebbe la parte eccedente gli 8.000 euro.
L’esonero diventa parziale (50% con limite di 4.000 euro) nel caso di contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o stagionale, pieno o parziale.
Questa agevolazione vale sia nel caso di lavoratori senza disabilità che con disabilità a condizione, come detto, che siano titolari di Assegno di inclusione. E, in tutti casi, è previsto un ulteriore contributo per le agenzie per il lavoro, pari al 30% dell’esonero riconosciuto alle aziende, nel caso abbiano svolto una specifica attività di mediazione.

Ma il decreto tenta, pur timidamente, di formalizzare anche un riconoscimento del valore dell’intermediazione e dell’accompagnamento (tutoraggio, affiancamento ecc.) svolti a favore delle persone con disabilità in occasione del loro ingresso nel mondo del lavoro.
È previsto infatti un contributo, pari al 60% dell’importo riconosciuto alle aziende nel caso di contratto a tempo indeterminato e all’80% nel caso di contratto a tempo determinato o stagionale, a favore degli enti che abbiano svolto per quel lavoratore un’attività di mediazione per l’inserimento e assicurino successivamente “la presenza di una figura professionale” con il ruolo di responsabile dell’inserimento lavorativo (per la durata del contributo, cioè al massimo per 12 mesi).
Il contributo massimo è quindi 4.800 euro nel caso di contratto a tempo indeterminato, 3.200 euro negli altri casi. Ma gli importi possono essere anche inferiori nel caso i versamentei previdenziali siano più bassi e dunque anche il contributo alle aziende sia più limitato.

Ma quali solo gli “enti” che possono accedere a questi contributi? Solo in teoria il decreto largheggia includendo enti di Terzo settore e imprese sociali che abbiano negli scopi la tutela della disabilità, ma precisando poi che debbono essere “autorizzati all’attività di intermediazione”, il che restringe drasticamente il bacino dei potenziali soggetti coinvolti.

Va anche detto che l’ideale riconoscimento di questo ruolo e di queste competenze cozza con l’esiguità del contributo massimo riconosciuto. Si pensi che 4.800 euro dovrebbero coprire i costi di intermediazione (incontri, selezione, colloqui) e la “la presenza di una figura professionale” per 12 mesi. Senza risorse proprie aggiuntive e significative non appare una soluzione né allettante né sostenibile.

È opportuno a questo punto ricordare che la legge 68/1999 sul collocamento mirato prevede già in nuce “contributi agli enti (…), che svolgano attività rivolta al sostegno e all’integrazione lavorativa dei disabili”. Quei contributi potrebbero o dovrebbero essere erogati dai Fondi regionali per l’occupazione dei disabili, la cui gestione e capienza, tuttavia, sono tutt’altro che omogenei nel Paese.

Merita anche ricordare che l’articolo 13 della stessa legge 68/1999 (più volte modificato) prevede incentivi significativi nel caso di assunzione di persone con disabilità. Il decreto 48/2023 consente la cumulabilità degli incentivi introdotti (per i soli titolari di Assegno di inclusione) con quelli previsti dalla legge 68/1999.

Ricordiamo a questo punto gli incentivi previsti dalla legge 68/1999:

1. incentivo pari a 70 % della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, per ogni lavoratore disabile, assunto con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, che abbia una riduzione della capacità lavorativa superiore al 79 per cento (per 36 mesi);

2. 35 % nel caso di invalidità compresa fra il 67 per cento e il 79 per cento (36 mesi);

3. 70 % della retribuzione mensile lorda imponibile (ecc.) ai fini previdenziali, per ogni lavoratore con disabilità intellettiva e psichica che comporti una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento, per 60 mesi, in caso di assunzione a tempo indeterminato o di assunzione a tempo determinato di durata non inferiore a dodici mesi e per tutta la durata del contratto.

L’erogazione dei contributi alle aziende è affidata ad INPS che usa specifiche destinazioni trasferite dallo Stato e afferenti al Fondo per il diritto al lavoro dei disabili (art. 13, legge 68/1999). Il Fondo viene normalmente rifinanziato con interventi normativi (solitamente in legge di bilancio) e poi trasferito, per la parte di competenza, ad INPS. Purtroppo, da anni si assiste al ripetersi del medesimo quadro: prima della metà dell’anno il Fondo assegnato ad INPS è già esaurito e le relative richieste di incentivo rimangono pendenti. A questo si aggiungano i ritardi a livello ministeriale nell’assegnazione dei fondi per l’anno di competenza. Per completezza nel 2023 il Fondo ammonta a 76.220.440 euro che risulta insufficiente. Su tali evidenze ci si sarebbe attesi in un decreto – lavoro un intervento incisivo.
Terzo settore e assunzione di persone con disabilità

L’articolo 28 del decreto 48/2023 istituisce un fondo finalizzato al riconoscimento di un contributo in favore degli enti del Terzo settore che assumano giovani con disabilità (18/35 anni). Il fondo, per il 2023, conta su 7 milioni di euro. Non si tratta di nuove risorse, ma di una riassegnazione in spesa di somme non utilizzate da un altro fondo, e cioè il “Fondo di sostegno per le strutture semiresidenziali per persone con disabilità”, volto a garantire la concessione di un indennizzo agli enti gestori delle medesime strutture per gli effetti del Covid (articolo 104, comma 3, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34). Ammontava a 40 milioni di euro. Per gli effetti futuri (indebitamento e fabbisogno) si provvede invece attingendo ad altre voci.
Come detto, l’assunzione deve riguardare le persone con disabilità di età compresa fra i 18 e i 35 anni e il contratto deve essere sottoscritto tra il 1° agosto 2022 e il 31 dicembre 2023.

Tuttavia, le modalità di ammissione, quantificazione ed erogazione del contributo, le modalità e i termini di presentazione delle domande, nonché le procedure di controllo saranno definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, o del Ministro delegato per le disabilità e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, entro il 1° marzo 2024. In pratica: prima scade il termine per le assunzioni potenzialmente beneficiarie; poi saranno definite le modalità e i criteri per i contributi. Nel frattempo, non è possibile stimare quanto effettivamente verrà erogato per ciascuna persona assunta e se questo contributo sarà una tantum o continuativo.
Ma quali sono le organizzazioni ammesse al contributo? Enti del Terzo settore (le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative…), anche in via di iscrizione (trasmigrazione) al relativo registro, e le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS).
Fondo per le attività socio-educative a favore dei minori

L’articolo 42 del decreto istituisce un nuovo Fondo per le attività socio-educative a favore dei minori, con una dotazione di 60 milioni per il 2023.

Il fine espresso è quello di “sostenere le famiglie e facilitare la conciliazione fra vita privata e lavoro”. Il mezzo quello di finanziare le iniziative dei Comuni per attività socio-educative a favore dei minori, da attuate anche in collaborazione con enti pubblici e privati, finalizzate al potenziamento dei centri estivi, dei servizi socio-educativi territoriali e dei centri con funzione educativa e ricreativa che svolgano attività a favore, appunto, dei minori. Un successivo decreto di riparto fisserà i criteri di assegnazione e le modalità di controllo sull’uso delle somme trasferite. Nel testo purtroppo non si ravvisa alcuna indicazione circa le garanzie di pari opportunità per i minori con disabilità. (Carlo Giacobini, direttore dell’Agenzia Iura)